Un giorno, tre autunni

Raccontare le immagini

Di solito sono i testi letterari a fornire ispirazione agli artisti per le loro opere visive, ma che succede quando il percorso è inverso? “Dimmi cosa vedi”, questo l’invito rivolto agli studenti delle attuali classi quarte B e C dalla prof.ssa Roberta Belli: ne sono nati racconti intensi, originali, talvolta sorprendenti, spesso espressivi della particolarissima condizione sociale ed esistenziale in cui sono stati scritti, ossia l’emergenza sanitaria, con la sua solitudine e i suoi drammi.

Un giorno, tre autunni

Un racconto di Caterina Tonini, classe 4C 2020/21
Ispirato all’opera Nighthawks, Edward Hopper, 1942

La amavo, la amavo tanto.
Sì, sto parlando di lei, Elizabeth, quella bellissima donna accanto a me, dai capelli rossi, che quando arrivava l’estate si tingevano di un bel colore arancio carota. Io la prendevo sempre in giro e lei reagiva in modo sconsiderato, come quella volta che per rabbia si tagliò la folta chioma fino alle spalle, per poi, naturalmente, pentirsene.
“Non provocarmi, guarda che sto per prendere le forbici!”
“Dai ferma, non arrabbiarti… Carotina”
“E va bene allora… ZAC!”
Ogni volta che si arrabbiava, mi bastava portarla in quel piccolo bar sull’angolo per farle tornare il buon umore, quel bar che la faceva stare tanto bene, senza averne mai capito il perché. Forse perché non era mai tanto affollato, forse perchè facevamo interessanti, lunghe e talvolta frivole chiacchierate con il barista, con il quale ormai eravamo arrivati a chiamarci per nome, o forse perchè della travolgente e stuzzicante musica jazz era sempre presente all’interno di quelle pareti di vetro. Magari le piaceva e basta, senza alcun pretesto. Lei era fatta così. 
Mi ricordo ancora quella volta in cui solo tre persone erano sedute al bancone: io, Elizabeth e Paul, uno scrittore sulla settantina. Nella sua vita compose un solo romanzo, a mio parere sottovalutato. Me ne regalò una copia e in prima pagina mi fece persino una dedica: “Per fortuna non sei come tuo padre, caro William.” Non scorse mai buon sangue fra i due: c’era sempre stata grande rivalità fra mio padre e Paul, causata dal fatto che entrambi si mantenevano scrivendo. Un giorno, rientrato da una lunga ed estenuante giornata di lavoro, Paul scoprì mio padre a letto con sua moglie, e da lì in poi i due non poterono più stare nella stessa stanza assieme. Mio padre morì qualche anno fa e, nonostante quello che avesse fatto passare al romanziere, Paul decise di andare al funerale, perché sotto sotto l’aveva sempre considerato uno scrittore capace, esperto.
Mio padre era un bastardo. Era un bastardo quando arrivava a casa dopo aver alzato un po’ troppo il gomito e cominciava a picchiarmi, era un bastardo quando tradiva mia madre per l’ennesima volta con donne più giovani e più belle ed era ancora più bastardo quando in pubblico faceva credere che fossimo la famiglia perfetta, soltanto per avere approvazioni.
Però da un lato devo ringraziare mio padre, devo ringraziarlo per avermi dato il perfetto esempio di uomo che non dovevo diventare. Mi sono promesso che in futuro sarei stato un uomo migliore, che non avrebbe mai tradito o alzato le mani sulla sua donna. Sarei stato un buon marito, a tutti i costi.
E lo sono stato con Elizabeth, eravamo molto innamorati, tutto andava bene.
Anche il suo di passato non era un granché, ha avuto molti bassi anche lei, ma da quando ci siamo incontrati riuscivamo a rivedere il mondo a colori.
Eravamo felici, talmente felici che qualcuno decise che fosse troppo.
Elizabeth era molto intelligente ed era riuscita ad avere un lavoretto nella boutique di moda della signora Ross. Non dava fastidio a nessuno, non voleva essere al centro dell’attenzione o risultare superiore agli altri, cercava sempre e solo di fare meglio che poteva nel suo piccolo. Era così divertente, aveva un risata molto dolce, come quella di una spensierata bimba di otto anni e scherzava sempre, ma sapeva anche quando c’era bisogno di essere seri. Amava il colore rosso, le peonie e quando la baciavo da dietro, sul collo mentre cucinava la cena, baci lenti e delicati, che sfioravano la sua pelle morbida e quasi color bianco candido. La amavo talmente tanto che l’idea di perderla mi spaventava, mi terrorizzava. Era la mia ancora di salvataggio, mi faceva bene al cuore credo più di quanto io facessi bene al suo.
Erano le dieci del mattino di una grigia giornata di novembre e una macchina con a bordo due uomini incappucciati arrivò davanti al negozio in cui lavorava.
Un solo colpo, dritto al petto. 
Fu questo a portarmela via.
Avrei preferito perdere me stesso piuttosto che perdere lei, perché sarebbe stato meglio non sapere più chi fossi piuttosto che perdere ciò che mi aveva reso una persona migliore.
Ora un giorno sembrano tre autunni, il tempo si è fermato e l’idea di raggiungerla nella mia mente diventa una possibilità sempre più concreta.
La gente mi guarda con pietà, portando a galla voci sul mio passato difficile e la cosa mi manda in bestia. Tanto ho faticato a dimenticarmene, tanto facile questa gente lo riporta nei miei pensieri. Come mi manca la mia bella Elizabeth, era l’unica che sapeva calmarmi in queste situazioni.
Devo andare da lei, il più presto possibile…
Sto arrivando, amore mio, ora non sarai più sola e non lo sarò nemmeno io.

 

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